Tre abbazie e un romanzo: Il nome della rosa

Il nome della rosa è racchiuso tra le mura di un’abbazia. I sette giorni che compongono il manoscritto creato dalla mente di Umberto Eco e narrato dalla voce dell’ormai anziano Adso de Melk, si susseguono tra le fredde mura di un luogo buio e misterioso, popolato da fantasmi assassini, alla fine di un novembre coperto dalla nebbia e scosso dal vento, in pieno periodo medievale. L’intera vicenda, già di per sé intricata, è inserita all’interno di un evento storico. I due massimi poteri del tempo, papato e impero, raggiungono questa piccola abbazia del nord Italia, per confrontarsi e cercare di ricomporre una frattura, che è stata allargata, al limite della rottura, dal francescanesimo.

L’ambientazione appare già tetra a un primo sguardo dei due protagonisti – il giovane novizio Adso e il suo maestro, il francescano Guglielmo da Baskerville –  a cui Eco dà il compito di svelare il mistero di una serie di morti seriali che sembrano volute da una mano divina e non umana. “Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia. Non mi stupirono di essa le mura che la cingevano da ogni lato, simili ad altre che vidi in tutto il mondo cristiano, ma la mole di quello che poi appresi essere l’Edificio. […] Per la mole e per la forma, l’Edificio mi apparve come più tardi avrei visto nel sud della penisola italiana Castel Ursino o Castel del Monte, ma per la posizione inaccessibile era di quelli più tremendo, e capace di generare timore nel viaggiatore che vi si avvicinasse a poco a poco. E fortuna che, essendo una limpidissima mattinata invernale, la costruzione non mi apparve quale la si vede nei giorni di tempesta.

L’abbazia descritta da Adso non è mai esistita. Il manoscritto da cui Eco fittiziamente trae ispirazione per Il nome della rosa, non indica con precisione dove essa sia collocata, anche se “le congetture permettono di disegnare una zona imprecisa tra Pomposa e Conques, con ragionevoli probabilità che il luogo sorgesse lungo il dorsale appenninico, tra Piemonte, Liguria e Francia (come dire tra Lerici e Turbia).” Si sa però a quale luogo religioso Eco si sia ispirato. La Sacra di San Michele si trova sul monte Pirchiriano, in Piemonte. Inaccessibile, arrampicato sulle pareti scoscese di un’altura, raggiungibile grazie a una mulattiera, il monastero risponde perfettamente alla descrizione della misteriosa abbazia.

La Sacra di San Michele, in provincia di Torino. Avrebbe ispirato Umberto Eco per la descrizione dell'abbazia de Il nome della rosa.

La Sacra di San Michele, in provincia di Torino. Avrebbe ispirato Umberto Eco per la descrizione dell’abbazia de Il nome della rosa.

La descrizione dell’abbazia, e di tutti gli edifici che la compongono, è molto dettagliata. Sin dal suo arrivo Adso ha una grande dedizione per i dettagli dell’ambiente che lo circonda. Ogni locale avrà una sua anima e un conseguente risvolto emozionale sul giovane novizio. Ogni locale sarà teatro del ritrovamento di un corpo. Tra la chiesa, l’edificio centrale, le cucine, le stalle, il cimitero, fondamentali per questa storia sono due luoghi: lo scriptorium e la biblioteca. Entrambi chiusi e limitatamente accessibili, hanno caratteristiche discordanti.

La mappa dell'abbazia disegnata da Adso ne Il nome della rosa

La mappa dell’abbazia disegnata da Adso ne Il nome della rosa

Arrivati al sommo della scala entrammo, per il torrione orientale, allo scriptorium e quivi non potei trattenere un grido di ammirazione. Il secondo piano non era bipartito come quello inferiore e si offriva quindi ai miei sguardi in tutta la sua spaziosa immensità. Le volte, curve e non troppo alte (meno che in una chiesa, più, tuttavia che in ogni altra sala capitolare che mai vidi), sostenute da robusti pilastri, racchiudevano uno spazio soffuso di bellissima luce. […] Le vetrate non erano colorate come quelle delle chiese, e i piombi di riunione fissavano riquadri di vetro incolore, perché la luce entrasse nel modo più puro possibile, non modulata dall’arte umana, e servisse al suo scopo, che era di illuminare il lavoro della lettura e della scrittura. Vidi altre volte e in altri luoghi molti scriptoria, ma nessuno in cui così luminosamente rifulgesse, nelle colate di luce fisica che facevano risplendere l’ambiente, lo stesso principio spirituale che la luce incarna, la clarissa, fonte di ogni bellezza e sapere, attributo inscindibile di quella proporzione che la sala manifestava.”

L’Abbazia di San Colombano, a Bobbio, nel piacentino, è famoso per il suo scriptorium, che al tempo del suo massimo splendore, conteneva più di 700 titoli. Umberto Eco pensa a questo spazio, maggiore centro di produzione libraria dell’Italia centro-settentrionale tra il VII e il IX secolo, quando descrive la sala di copiatura e trascrizione utilizzata dai monaci del suo romanzo. Lo scriptorium è simbolo di luce e chiarezza. Tra tutte le pagine del romanzo, le uniche note di colore e luminosità sono utilizzate per questa stanza, dove i due protagonisti faranno conoscenza colui che ha passato la vita a nascondere un libro, ed è disposto a tutto, anche a uccidere, pur di non regalare la filosofia in esso contenuta al mondo. Il responsabile di ciò che accade nell’abbazia non può vedere la luce dello scriptorium, né quella dell’intelletto umano, perché è cieco: gli manca la vista, ma anche la capacità di andare oltre alle ombre dell’estremismo dottrinale della religione.

Il loggiato dell'abbazia di San Colombano, a Bobbio, che un tempo ospitava lo scriptorium.

Il loggiato dell’abbazia di San Colombano, a Bobbio, che un tempo ospitava lo scriptorium.

La biblioteca rappresenta il buio, l’ostinatezza degli uomini di nascondersi dietro ad alte mura per evitare di intraprendere il difficile percorso verso la conoscenza, che può scardinare le verità autoimposte dalla limitatezza di ciò che è umano. La biblioteca è inaccessibile a tutti, tranne che al bibliotecario e a chi sa come entrare senza farsi vedere. Metafora eterna del lungo viaggio verso la piena consapevolezza di cosa significhi “sapere”, ha una forma labirintica, ostacolo per chi non sa come utilizzarla, utile per dare un ordine alla sapienza che contiene. Adso e Guglielmo sanno che la soluzione dell’enigma è la biblioteca. Non solo chi, per nomina, ha diritto a entrare qui, è in grado di capirne il funzionamento, ma anche coloro che, con sforzo, cervello e acutezza, arrivano a comprendere come muoversi tra stanze e corridoi. “La biblioteca è un labirinto, segno del labirinto del mondo. Entri e non sai se uscirai. Non bisogna violare le colonne d’Ercole..

La mappa della biblioteca disegnata da Adso ne Il nome della rosa

La mappa della biblioteca disegnata da Adso ne Il nome della rosa

Per trovare la giusta fotografia della biblioteca dell’abbazia, Umberto Eco è andato in Svizzera, precisamente nell’Abbazia di San Gallo. La sua biblioteca è considerata una delle più ricche, tanto da diventare patrimonio dell’Unesco nel 1983. Ancora oggi viene utilizzata da studiosi internazionali, attirati dalle pagine dei150mila volumi in essa conservati. La biblioteca è il centro di questo romanzo, che finisce con la sua distruzione. “La biblioteca era stata condannata dalla sua stessa impenetrabilità, dal mistero che la proteggeva, dall’avarizia dei suoi eccessi.

La biblioteca dell'abbazia di San Gallo, in Svizzera

La biblioteca dell’abbazia di San Gallo, in Svizzera

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