Fai bei sogni

fai-bei-sogniMassimo è un bambino di nove anni, come tanti altri. Vive a Torino, con la mamma e il papà. Massimo in poco meno di sei mesi diventerà un bambino diverso da tutti gli altri. Continua a vivere a Torino, ma solo con il papà. La mamma se l’è portata via il Brutto Male. Lo ha incontrato di ritorno da “una serie di commissioni”. “Non essere amati è una sofferenza grande, però non è la più grande. La più grande è non essere amati più. Nelle infatuazioni a senso unico l’oggetto del nostro amore si limita a negarci il suo. Ci toglie qualcosa che ci aveva dato soltanto nella nostra immaginazione. Ma quando un sentimento ricambiato cessa di esserlo, si interrompe brutalmente il flusso di un’energia condivisa. Chi è stato abbandonato si considera assaggiato e sputato come una caramella cattiva. Colpevole di qualcosa di indefinito“.

La mamma se n’è andata. Massimo cerca allora di sostituirla e si guarda intorno. Ci sono le due nonne, Madrina, la Maestra e le mamme dei suoi compagni. Donne che gli vogliono bene, davvero, ma c’è sempre un millimetro di distacco quando lo abbracciano, una punta di commiserazione quando lo guardano, una sfumatura diversa di colore quando cercano di amarlo. “Non è semplice rimanere orfani nel paese dei mammoni. […] Io non chiedevo compassione o privilegi, ma amore. Pretendevo che qualcuno facesse il tifo per me. Invece per nessuna di quelle mamme sarei mai stato il primo della lista”.

Il papà è rimasto, ma i papà amano come può amare un uomo. Porta Massimo a vedere il Torino – la loro squadra del cuore – ogni weekend per distralo. Lo affida a una tata, Mita, che è tanto efficiente quanto priva di “baci e torte al cioccolato“. Cerca con ogni mezzo di riempire il vuoto lasciato dalla mamma, ma non è facile diventare dei maschi femmina. “Privata del cuscinetto materno, la frizione tra i nostri caratteri aveva perso ogni parvenza di vitalità per diventare lo sfogo cupo di due vittime incomprensibili l’una all’altra“.

E la mamma diventa un mito. “La mamma divenne il mio angelo senza macchia e senza paura“. Il ricordo del profumo dei suoi capelli svanisce pian piano, così come il suono della sua voce. Rimangono le fotografie, nascoste in un cassetto. La sua risata diventa irresistibile, la sua ribellione quella di dare senza avere niente in cambio. Intelligente, allegra, nessun difetto intacca la fantasia della sua immagine. Ostriche e champagne per il mostro Belfagor, che vive dell’infelicità e delle paure di Massimo: sfiducia, rifiuto e abbandono. “Mi tormentava di domande. Con tutte le mamme che c’erano, come mai era morta propria la mia? I miei compagni andavano a scuola accompagnati dalla mamma, mangiavano la bistecchina al burro cucinata dalla mamma, quando erano smarriti scomparivano fra le braccia della mamma. Perché io no?

Il viaggio di Massimo nella vita è sempre più difficile. Ogni anno che lo separa da quella notte di natale in cui sua madre è stata rapita da Brutto Male, è un livello più alto nella scala di valore dell’abbandono. Belfagor se li mangia a colazione quelli come lui. Basta una delusione d’amore o un’incertezza. Massimo si rifugia nella sua camera e cerca risposte che non esistono in libroni, poesie, canzoni. Ovviamente non le trova. “Volevo essere rassicurato sulla mia ossessione: che la ferita dell’infanzia non mi avesse segnato l’esistenza in modo inesorabile“. E quindi il cerchio ricomincia: si lancia di nuovo verso il mondo, trova una nuova ragazza, ma poi se ne allontana; prende 30 e lode a un esame, ma spaventato dal suo stesso ardore, si rifugia in un mondo che sulla terra non esiste, dove può chiedere consiglio alla “sua mammotta“, dove lei gli risponde e tutto si risolverà.

Nessuno deve sapere. I diversi spaventano. Gli occhi pieni di pietà infuriano. Massimo racconta ai suoi compagni, poi alle sue fidanzate e ai suoi colleghi, storie originali che portano la mamma sempre lontano da lui, anche se nel mondo dei vivi. Rimane bambino, si sente infantile e impacciato anche il giorno del suo primo matrimonio. Crescere da soli non è uno scherzo.

Massimo viene salvato dal suo sogno, che era stato brutalmente abbandonato sotto consiglio di Belfagor. “Non difesi il mio sogno, per la semplice ragione che non lo ascoltavo più. I sogni sono radicati nell’anima e la mia era fuori servizio“. Ma il sogno non si arrende e viene a cercarlo. Per caso, all’improvviso. Lo raccoglie e gli dà uno scopo, un senso. “Il sogno di scrivere si era materializzato in forma imprevedibile, quando avevo creduto di non desiderarlo più. Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l’assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione“.

Massimo dopo quarant’anni viene a sapere la verità su sua madre. Non era scappata con Brutto Male. Lei lo aveva già sconfitto. Ma non aveva resistito alla paura del dolore. La mente se n’era andata già fuori dalla finestra, e il corpo ha dovuto seguirla. In una notte di natale, dopo aver salutato il suo bambino, aveva aperto le finestre e si era lanciata verso quell’atmosfera da fiaba che la neve riesce a dare a qualunque cosa ricopra. “Cosa avrei pensato a nove anni, se mi avessero detto che la mamma si era buttata da una finestra del quinto piano? Che non mi voleva più. Che dovevo valere assai poco. Il problema è che lo avevo pensato lo stesso, tutta la vita“.

Non è importante chi la mamma ha inseguito quando se n’è andata. Non è importante se ad averla sconfitta è stata una malattia del corpo o della mente. Conta l’attimo prima, quello in cui niente può impedirle di andare da Massimo e salutarlo. Tre parole: fai bei sogni. Che vogliono dire tutto. Fai bei sogni anche quando Belfagor cerca di oscurarli. Fai bei sogni perché comunque i sogni ti inseguiranno. Fai bei sogni perché in quei sogni la mamma potrà continuare a vivere e ad abbracciarti inondandoti del profumo dei suoi capelli.

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